Un po’ di me…

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Da piccola non ho mai pensato di diventare una “storica di professione”. I miei eroi erano Piero Angela e Neil Armstrong. “Da grande voglio fare l’astronauta!”, questo rispondevo a chi mi chiedeva cosa avessi voluto fare nella vita (se non ci credete, chiedete a mio padre). Stelle e pianeti mi affascinavano più di date e persone. Nella mia cameretta, che condividevo con due sorelle scalmanate, avevo uno scaffale tutto mio dove collezionavo videocassette con lezioni di astronomia, varie raccolte di minerali e pietruzze e il mio bellissimo microscopio che trovai una mattina di Natale sotto l’albero.

Durante gli anni del Liceo (ovviamente Scientifico) il mio interesse si spostò dall’astronomia all’anatomia e la bellissima esperienza di animatrice in oratorio che mi accompagnò nei tumultuosi anni dell’adolescenza mi convinse a cambiare strada. Dopo la maturità mi iscrissi quindi al test di ammissione a Medicina dell’Università di Torino. Sarei voluta diventare una “pediatra senza frontiere”, avrei voluto salvare tutti i bambini del mondo dalle Malattie e dal Male. Ma io quel test non lo feci mai. La mattina della prova scesi in città e mi iscrissi al corso di laurea triennale in “Società e culture d’Europa” (un’espressione complicata e confusa per dire “corso di laurea in Storia”). L’esperienza del pellegrinaggio a Lourdes come aiuto infermiera che ebbi l’occasione di fare qualche settimana prima del test mi spinse a rivedere la mia decisione: non sarei mai riuscita a sopportare la sofferenza, soprattutto quella dei bambini!

Ma cos’altro avrei potuto fare se non l’astronauta e la pediatra? Avevo frequentato una scuola scientifica, ma della matematica o della chimica non me ne importava più molto. Che fare allora? Quali erano le materie che avevo amato di più al liceo? Dalla terza liceo ebbi la fortuna di conoscere due professori straordinari che non solo mi stettero vicino nei momenti difficili di quegli anni, ma seppero farmi letteralmente innamorare di materie che fino a quel momento avevo studiato svogliatamente: la Letteratura, la Filosofia, ma soprattutto LA STORIA. Quanto adoravo prepararmi per le interrogazioni di storia: mi facevo sempre mettere tra i primi nelle interrogazioni programmate e i risultati di questi miei nuovi interessi si fecero subito vedere. I miei voti nelle discipline umanistiche erano più alti di quelle scientifiche. Per l’esame di maturità preparai una tesina meravigliosa dedicata a diverse figure femminili storicamente rilevanti (Marie Curie, Virginia Woolf, Frida Kahlo, Etty Hillesum, …) e che custodisco ancora come un piccolo tesoro.

Ecco, sarei potuta diventare come uno di questi miei professori, innamorati della materia che insegnavano e degli alunni che consideravano come dei secondi figli.

254596 e poi 337781. Questo sono stati i miei numeri di matricola per cinque anni durante i quali i corsi di storia sembravano racconti magici: storia greca, storia romana, storia medievale, storia moderna, storia contemporanea, storia dell’arte, storia della filosofia e storia della letteratura italiana. Uno più bello dell’altro. L’anno della prima laurea si avvicinò velocissimo. Il professore che mi seguì durante il primo lavoro di tesi, e poi anche per quello specialistico, mi fece ancora più amare la storia, soprattutto la storia sociale, quella che cerca di ricostruire i cambiamenti sociali e la vita delle persone in determinati periodi storici. Destreggiandomi tra polverose carte d’archivio e libri introvabili, mi laurei, addirittura, con il massimo dei voti. Chi l’avrebbe detto?

Ma le cose non andarono subito come avevo pensato. I vari concorsi di dottorato si rivelarono deludenti, i tirocini che avevo fatto durante gli anni universitari non mi aiutavano negli innumerevoli colloqui. E i soldi non c’erano. Mamma e papà avevano altri tre figli da aiutare e il mio fidanzato (oggi fortunatamente mio marito!), laureato in ingegneria, si stava anche lui facendo strada nel mondo del lavoro.

Mandai il cv ad una nota azienda di prodotti sportivi. Mi chiamarono dopo due giorni. Il colloquio andò inaspettatamente benissimo: assunta con un contratto di 6 mesi a tempo determinato. Iniziai a vendere occhialini e costumi da bagno. Ma la Storia era sempre lì.

Il contratto finì e per me, giovane laureata, non c’erano possibilità di assunzione a tempo indeterminato. La “politica aziendale” non permetteva di assumere giovani laureati in pianta stabile!

Allora ricominciai con l’invio dei cv. Tutte le proposte di lavoro che mi arrivavano (e che ovviamente accettavo) mi allontanavano sempre di più dai miei studi: addetta call center, cameriera, fino ad arrivare a pensare di “fare carriera” in una multinazionale dove la giornata lavorativa era scandita da cottura di hamburger e patatine.

La Storia però mi stava aspettando. Il lavoro mi pesava, non tanto per la stanchezza fisica (che era comunque enorme), ma per il vuoto che provavo. Da quanto tempo era che non leggevo un bel saggio storico? Che non preparavo più una lezione di storia per una classe del liceo, come facevo durante gli anni dell’Università, collaborando con il Museo Diffuso della Resistenza di Torino e con il mio amato Istituto della Resistenza di Varallo? Provavo una sofferenza enorme. E poi un giorno, in macchina, salendo al paesino per il battesimo del mio fantastico nipotino, presi una decisione: avrei lasciato il lavoro e avrei riprovato a fare della mia passione il mio futuro. Decisione che il mio compagno di vita appoggiò totalmente.

Da qualche mesetto ormai mi sono aperta una partita iva che mi permette di collaborare con diversi istituti di ricerca e aziende, mi sono iscritta ad un master in comunicazione storica e ho ripreso a fare le mie adorate lezioni nelle scuole.

Se ora qualcuno mi chiedesse “cosa vuoi fare da grande?” (perché mi ritengo ancora molto giovane) non ho più dubbi sulla risposta: LA STORICA.

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